Mirko su Facebook
giovedì 15 marzo 2012
sabato 3 marzo 2012
Comic-trailer
Soggetto: Antonio Serra
Sceneggiatura: Mirko Perniola
Disegni: Sergio Giardo
Copertina: Sergio Giardo
Trailer: Alessandra Lupo
Nel futuro le agenzie di sicurezza e vigilanza difendono i cittadini dal crimine e la più importante tra esse è l'Agenzia Alfa, diretta da Edward Reiser. Nathan Never e Legs Weaver sono sempre in prima linea, aiutati da Sigmund Baginov e dal suo strabiliante computer. Ma qual è il suo segreto? Cosa si nasconde nei sotterranei dell'Alfa Building?
http://
venerdì 2 marzo 2012
giovedì 1 marzo 2012
Il Disegno della Lola
Il 22 Febbraio, io e Lola Airaghi siamo stati ospiti della trasmissione LatoB, di Marco Bruco Ferri.
E' stata una splendida serata, svoltasi però al contrario, perché è iniziata con il caffè, ed è finita con la cena.
In collegamento con noi, anche Claudio Villa, che qui sotto vedete ritratto in una situazione in cui ogni sceneggiatore di fumetti, prima o poi, spera che i disegnatori finiscano... dietro le sbarre!
Chi si fosse perso la puntata, può ritrova qui sotto.
http://www.seilatv.tv/canale.asp?ids=32&idv=91
Una bella serata, dicevo, macchiata però da un imprevisto. A causa di disguidi tecnici, i tempi in studio sono "sforati" e la Lola, nonostante abbia disegnato per tre quarti d'ora filati, non ha avuto la possibilità di far vedere il meraviglioso scarabocchio che stava realizzando.
Bene, sono riuscito a recuperarlo, e lo pubblico qui:
Sangue Nero!
Dal 30 di marzo, in edicola quella che fu la mia seconda sceneggiatura bonelliana scritta, credo, nel lontano 2005 o 2006!
Speciale Zagor n. 24, Sangue nero |
Soggetto e sceneggiatura: Mirko Perniola Disegni: Gaetano e Gaspare Cassaro Copertina: Gallieno Ferri |
Washington, gigantesco ex schiavo nero, è stato accusato di aver ucciso un bianco e condannato a morte. Ma poco prima che la sentenza sia eseguita, il prigioniero riesce a scappare, braccato dagli uomini della legge e dai cacciatori di taglie. Imbattutosi in Zagor, il fuggiasco grida la sua innocenza e la certezza che esista qualcuno che sia in grado di testimoniarla. Questo qualcuno, però, è un ubriacone che difficilmente potrà essere ritenuto credibile da un tribunale. Inoltre, quando l’accusato ha la pelle scura, sono pochi i giudici disposti a un verdetto di assoluzione. Non sarà facile per lo Spirito con la Scure evitare che Washington faccia una brutta fine... |
Questa storia, come sarà facile intuire, mi è stata vagamente suggerita dal personaggio di John Coffey, interpretato da Michael Clarke Duncan ne Il Miglio Verde
mercoledì 22 febbraio 2012
Per gli artisti...
“Umberto Eco ha
parlato di Dylan Dog come se fosse un capolavoro, accostandolo addirittura alla
Divina Commedia!
[…]
Allora, io non so se
Dylan Dog è un capolavoro… non mi ci metto neanche... per me è artigianato!”
Tiziano Sclavi
:)
lunedì 20 febbraio 2012
Annunciaziò! Annunciaziò!
Mercoledì 22 Febbraio alle ore 21:00, insieme a Lola Airaghi sarò ospite in diretta studio nella trasmissione Lato B!
Con noi, via skype, anche il grandissimo Claudio Villa!
Si parlerà di Battiti di Legalità, una storia di mafia, ma anche di Dylan Dog, Nathan Never, Zagor, Martin Mystére, Brendon, e tutto ciò che può riguardare la commistione musica e fumetto!
E se a rappresentare il mondo del fumetto ci saremo noi, a rappresentare quello della musica ci saranno i fantastici Bermuda Acustic Circus!
Accurrite, accurrite!
E partecipate alla diretta via mail, twitter o facebook!
mercoledì 15 febbraio 2012
Aggràtis!
Credo
sia inevitabile, andando avanti così, tutte le edicole chiuderanno presto i
battenti!
Ma
non per la crisi economica, la recessione, il pil, lo spred, il download, l’all-in,
lo spanking, il bella’fra… ma semplicemente perché c’è un mucchio di gente che
fa giornali, riviste, periodici, insomma un mucchio di gente che ha il proprio
nome stampato sopra, sotto o a fianco articoli o disegni. Ma la colpa
ovviamente non è di questi ultimi, ma dei loro amici e parenti… i “quelli che…”
Soprattutto,
“i quelli che…” di chi fa fumetto.
Perché
c’è quello che… entra in studio allunga il collo guardandosi in giro, afferra
un albo qualsiasi e: “Questo l’hai fatto tu? Posso prenderlo, vero?”
C’è
quello che… “Ahh, questo me lo devi dare! Lo voglio assolutamente perché l’hai fatto tu!” e poi
non lo leggerà mai!
C’è
quello che… “Ma pensa!... me ne dai uno in prestito?... poi te lo restituisco,
eh!” e sai già che prima o poi finirà nella raccolta della carta!
C’è
quello che… “Ah, mio figlio va matto per quei pupazzi lì!... dammene uno dei
tuoi, così glielo faccio vedere!”
C’è
quello che… “AH AH AH… questo giornalino?... AH AH AH… ma di lavoro?!... AH AH
AH… c’è pure su il tuo nome!... AH AH AH… questo me lo tengo!”
C’è
quello che… “Guarda, te lo dico perché sono anni che ti chiedo, che mi informo
e che voglio tutto quello che pubblichi, perché è giusto così ma… a me di
quella roba lì non è che mi frega molto…”
C’è
quello che… “Naaah vedi che bel giornalino! Bravo a’zzio!... ce lo porto a’zzia
che ce lo faccio vedere, sei gondento?”
C’è
quello che… “Lo sapevo che prima o poi ce l’avresti fatta, lo dicevo a tutti io!”
anche se non ne hai mai comprato una copia.
C’è
quello che… “L’autografo eh?... non dimenticarti l’autografo, perché io ce lo
voglio assolutamente!” Sì, prima di metterlo sulla mensola a prendere polvere.
C’è
quello che… “Bello!... me lo porto a casa, perché si vede che è una cosa fatta
bene!” che manco Automan avrebbe saputo giudicare una sceneggiatura tenendo un
albo chiuso!
C’è
quello che… “Ma dai, i fumetti!... guarda, questo se non ti spiace lo tengo
volentieri!... perché sai, anch’io li leggevo quand’ero piccola… adesso però
leggo cose un po’ più…” sì, come Gente e Cronaca Vera!
C’è
quello che… “Se te lo rubo non ti spiace, vero?... tanto tu ne hai qui dentro
così tanti!” sì, ma se ti impegni lo capisci anche tu, che sono tutti diversi…
Insomma,
caro amico, caro parente, caro “quello che…”, se ti interessa davvero, compratelo
in edicola!... un albo Bonelli costa meno di 3 euro, è una cifra
vergognosamente ridicola per la quale non diventerai povero e, se lo leggerai, magari ti
arricchirai anche un po’.
Se
non ti interessa, la scia perdere, noi fumettari non ci offendiamo, abbiamo centinaia
di migliaia di lettori, uno in più o uno in meno, soprattutto se non
interessato, che differenza vuoi che faccia?
Sia
chiaro, in ogni caso, continueremo a volerti bene lo stesso.
Però ricorda
bene, non li stampiamo personalmente nello scantinato di casa, la tipografia e
la casa editrice non ce ne donano interi bancali, di solito abbiamo una sola copia omaggio… insomma, se non li regalano a noi, perché noi dovremmo regalarli
a te?
venerdì 10 febbraio 2012
Louisiana Story (is over)
Dopo quattro mesi di attesa dalla prima all’ultima pagina, con
circa trecento tavole di fango, soldati, cajun, coccodrilli, sparatorie, tradimenti, duelli,
sangue e lacrime nel delta del Mississippi, è terminata “la mia” Alligator
Bayou e, come al solito, butto lì qualche dietro le quinte per i più curiosi.
La prima curiosità è legata al popolo dei cajun, vero
protagonista di questo poker d’albi.
I cajun sono un gruppo etnico costituito dai discendenti dei canadesi francofoni; a metà del XVIII secolo, quella che era la regione dell’Acadia diventò l’odierna Nuova Scozia (Canada) passando di mano dai francesi agli inglesi… i quali pensarono bene di attuare una bella pulizia etnica per non mischiare il proprio sangue con quello francese! Chi preferiva un’alternativa ad una palla di piombo in testa, poteva trasferirsi un po’ più a sud… giusto qualche chilometro più a sud, nella paludosa Louisiana! Una scelta che, anche se al momento poteva sembrare l’unica furba alternativa, non lo fu per tutti. I settemila acadiani rimasero per settimane rinchiusi all’interno di navi-prigione (quelle usate per il commercio di schiavi, tanto per intenderci) e morirono centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini.
I cajun sono un gruppo etnico costituito dai discendenti dei canadesi francofoni; a metà del XVIII secolo, quella che era la regione dell’Acadia diventò l’odierna Nuova Scozia (Canada) passando di mano dai francesi agli inglesi… i quali pensarono bene di attuare una bella pulizia etnica per non mischiare il proprio sangue con quello francese! Chi preferiva un’alternativa ad una palla di piombo in testa, poteva trasferirsi un po’ più a sud… giusto qualche chilometro più a sud, nella paludosa Louisiana! Una scelta che, anche se al momento poteva sembrare l’unica furba alternativa, non lo fu per tutti. I settemila acadiani rimasero per settimane rinchiusi all’interno di navi-prigione (quelle usate per il commercio di schiavi, tanto per intenderci) e morirono centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini.
Nei decenni successivi, un buon numero di immigrati spagnoli
e tedeschi si unirono agli acadiani in quel paradiso popolato di zanzare grosse
come canarini e coccodrilli che non disdegnano di darti un’assaggiata mentre
passi per la palude. Questo miscuglio di popoli, ha generato un ibrido
culturale caratteristico che si esprime al meglio con la musica, la cucina e la
lingua.
Dato che inserire la musica mi risultava un po’ difficile
per i limiti legati al medium, ho inserito una spolverata di cucina e di
linguaggio per arricchire la caratterizzazione dei personaggi.
Fonti di ispirazioni sono stati, principalmente due film:
Louisiana Story, docufiction in bianco a nero di Robert J
Flaherty del 1948, vero esempio di antropologia visuale dove la macchina da
presa indugia sull’ambientazione e sugli aspetti caratteristici della vita in
una palude, senza necessariamente raccontare una storia.
Poi, il sicuramente più famoso Southern Comfort (I guerrieri
della palude silenziosa) di Walter Hill (quello de I Guerrieri della Notte,
tanto per intenderci) dove, proprio come in Alligator Bayou, un gruppo di
militari deve vedersela con agguati e scontri con una banda di cajun decisa a
farli fuori!
Ovviamente però gli aspetti antropologici e culturali devono
sempre e comunque fare da sfondo in una fiction in cui l’avventura deve essere
il primo ingrediente base. Perciò, proprio come successo con il Portuñol Riverense per il ventesimo Speciale di Nathan Never intitolato Non Umano, anche in questo caso della
cultura e del linguaggio cajun sono avanzate soltanto delle “spolverate” nella nostra storia, giusto per aggiungere un po' di quel sapore che, da quanto si legge dai commenti sul web, avete
saputo apprezzare, e di questo vi ringrazio.
E a proposito di commenti in rete, i frequentatori del forum
Za-Gor-Te-Nay, dibattevano sulle dimensioni di Le Roi, il gigantesco alligatore
bianco.
Il dubbio era: "Le abnormi dimensioni della mitologica
bestia, sono il risultato di una volontà degli autori o di un errore di
realizzazione?"
L’utilizzo, anzi direi la necessità romanzesca di Le Roi è
abbastanza evidente: circolarità narrativa!
De Marigny, il nostro antagonista,
fugge di galera all’inizio della storia facendo dare in pasto ai coccodrilli
qualcun altro la posto proprio… perciò, alla fine, tramite Le Roi, la palude se
lo riprende rimettendo le cose a posto!
Aggiungiamo poi che Alligator Bayou è il seguito di Tragico
Carnevale, storia scritta da Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli) a cavallo tra
il 1973 e il 1974, dove Zagor viene buttato da De Marigny in pasto all’enorme
alligatore Matusalemme... che ovviamente lo trova più coriaceo del previsto!
Ma allora, dato che non si tratta di una licenza poetica, da
dove nasce Le Roi?
Ecco da dove ho preso ispirazione:
Si tratta di un coccodrillo gigante, fotografato a Pointe
Noire, Republica del Congo. La notizia relativa è stata pubblicata il 17 Luglio
2003 in La Semaine Africaine, un periodico congolese in lingua francese, in cui
si racconta che questo attempato cinquantenne Coccodrillo del Nilo, di 5 metri
per 850 chili, era solito far capolino sulle spiagge della zona terrorizzando i
presenti (ma và?!) e visto che cominciava ad allargarsi un po’ troppo, la
polizia locale ha ben deciso di risolvere il problema in maniera definitiva. Ma
le pistole (proprio come nel caso di Zagor) sono servite a ben poco contro la
spessa pelle di Croccolone… così, per abbatterlo, è servito un kalashnikov!
Dopodiché, dato che, come si sa, del coccodrillo non si
butta via niente, il gigante è stato portato da un novello Norman Bates che,
grazie alla tassidermia, lo ha trasformato in un’attrazione per turisti, ai
quali viene raccontato che SuperCroc era sempre più audace nell’avvicinarsi ai
luoghi abitati perché… ormai irresistibilmente assuefatto al sapore della carne
umana!
Ora fermo subito i primi della classe che si sbracciano per
poter sheldonare: "ma in Louisiana non vive la razza Crocodylus niloticus,
bensì l’Alligator mississippiensis che arriva al massimo a 4,5 metri di
lunghezza!"
È vero, ma è anche vero che a cavallo tra il XIX° e il XX°
secolo, sono stati catturati esemplari di alligatori, nel delta del
Mississippi, di ben oltre 5 metri di lunghezza! Tié!
Infine, ricordiamoci ancora due cose, la prima, è che i
suddetti pelle squamati sono tutti cuginetti del Sarcosuchus Imperator,
bestiolotto che arrivava a 12 metri di lunghezza per un peso di oltre 10
tonnellate!... in pratica lungo quanto un camion con rimorchio, e pesante come una
dozzina di 313 con a bordo paperino e i nipotini inclusi!
E la seconda è che… ehi, Zagor ha combattuto contro
licantropi e zombi, vampiri e vampire, vichinghi e uomini della palude!... un
po’ di sospensione dell’incredulità, per la miseria!
martedì 31 gennaio 2012
Fantasia un paio di palle!
Sceneggiatore, romanziere, autore teatrale o televisivo, chiunque scriva per professione si trova frequentemente in una situazione
spiacevole. Cioè il sentirsi chiedere “che lavoro fai?”.
A quel punto dobbiamo decidere in un decimo di secondo, se la
persona che abbiamo di fronte è davvero interessata alla risposta oppure no.
Sbagliare, può avere effetti devastanti.
Tra sconosciuti, dopo le vuote ciance sul tempo atmosferico
o cose simili, parlare di figli, spettacoli televisivi, sport o lavoro, serve
ad allargare le possibilità di conversazione, per capire se la persona che abbiamo di fronte può avere o no qualcosa in comune con noi che possa far
sviluppare il rapporto, o ci suggerisca di chiuderlo.
Finché gli argomenti sono i primi della lista, nessun
problema, al massimo si borbotta su quanto saremmo stati più bravi voi rispetto all’arbitro o all’allenatore di turno, o si snocciolano buffi aneddoti
sull’ultima gastroenterite del figliolo che vomitava a idrante, piccolo emulo
di Linda Blair nell’Esorcista e così via… (e non sottovalutare mai lo sguardo
dell’interlocutore dopo una simile battuta cinematografica, può essere un
segnale prezioso per l’argomento che stiamo per affrontare).
Già sul discorso televisivo qualche danno lo si può
ricevere, se ci si trova di fronte un cerebroleso appassionato solo di Uomini e
Donne o di Walker Texas Ranger...
Il guaio grosso capita però con l’argomento lavoro,
soprattutto se sei uno sceneggiatore di fumetti.
Perché le possibilità, oggi, di incontrare per strada una
persona che legge normalmente per diletto sono scarse, incontrarne una che
legga anche i fumetti è una botta di culo che, al confronto, Mister Magoo era
Gatto Silvestro.
Perciò, le possibilità di un travaso di bile, sono
altissime, perché alla risposta di un vago “scrivo…” segue un “che cosa?”… e a
quel punto siamo incastrati!
Perché precipiteremo in un gorgo di luoghi
comuni e frasi fatte che nascono dal pregiudizio più bieco radicato e
ignorante, e che vanno anche tradotte dal codice colloquial/cortese.
Qualche esempio:
- “Ma… è proprio il tuo lavoro?” tradotto: “Ma… è davvero un lavoro?"
- “Perciò, fai i disegnetti!” tradotto: “Che cacchio dici che scrivi, se fai i pupazzi?”
- “Ma che lavoro curioso!” tradotto: “Ma che lavoro del cacchio è?”
- “Caspita, che lavoro incredibile!” tradotto “Avrai qualcuno che ti mantiene!”
- “Fumetti?!” tradotto: “Mi stai prendendo per il culo?”
E infine, chiosano tutti, o quasi, con la frase più
devastante e ricorrente: “Chissà che fantasia devi avere!”
Ora, è ovvio che, nel contesto di un incontro informale che
non dovrebbe terminare con schizzi di sangue ed ossa rotte, se chiedere è
lecito non è che si è proprio costretti a rispondere... oppure sì?
Ma noi sappiamo che risponderemo, perché continueranno a domandarcelo; questa cosa è sempre successa, e continuerà a succedere, perciò, in
qualche modo, ci si deve difendere.
Alfredo Castelli, in passato, usava un sistema infallibile.
La menzogna macabra. Alla domanda
“che lavoro fai?” rispondeva lapidario: “pompe funebri!” la gente si toccava
gli ammennicoli e cambiava immediatamente discorso. Ma questo funzionava negli
anni ’70 e ’80, poi la superstizione ha cominciato a non essere più uno scudo
sufficiente.
Si potrebbe allora usare il sistema vietcong di Ivan
Calcaterra: chiudersi nel proprio
studio sotterraneo, protetto con sistemi di difesa degni del miglior Willy
Coyote, e ignorare tua moglie che ti chiama perché ci sono ospiti a cena! Se mi
volete vivo, dovrete stanarmi!
Io sto usando quest’ultimo da un po’ di tempo a questa parte, e devo dire che è efficacissimo! Non smetterò mai di ringraziare la filosofia difensiva di Ivan!
Eh sì, perché senza la sua saggezza, sarei ancora incastrato
nella Sindrome del Mezzo Professore Tra i Marines, cosa che, a volte, ancora mi
capita.
Questa sindrome, spinge lo sceneggiatore a cercare di far
capire a chi gli sta di fronte in cosa consiste il proprio lavoro, come
funziona, con la speranza che nell’interlocutore nasca un interesse, elimini un
preconcetto, ragioni su una realtà a lui sconosciuta.
È fatica sprecata, nel 99,9% dei casi non ci crederà o non ci capirà.
Certo, resta uno 0,1%... ma sta a noi decidere se ne vale la
pena.
E questo non vale solo per il discorso relativo al fare lo
sceneggiatore di fumetti, ma a un qualunque lavoro creativo. Perché una volta
pronunciata la frase “chissà che fantasia devi avere!” si è creato un enunciato
incontrovertibile e cioè che gli altri, la gente normale, la fantasia non ce la
ha!
Ovviamente è un concetto sbagliato, infatti, la fantasia non
è una capacità extraterrestre, ma un’abilità umana innata, che hanno tutti!
Da bambini, tutti noi maschietti giocavamo fingendo di essere
un Zagor, Superman o Geeg Robot d’acciaio, e le bambine fingendo di essere un Dolceforno
Harbert (almeno credo, a quei tempi non mi interessavo di loro, io ero Goldrake!).
Poi si cresce e, cosplayer a parte, la fantasia viene
utilizzata per sviluppare la creatività in ambiti diversi. Non usa la fantasia
il cuoco che deve inventare una nuova ricetta? Non usa la fantasia un ingegnere
che deve risolvere un problema tecnico? Non usa la fantasia un designer che
crea una nuova automobile?
Poi i risultati possono essere più o meno validi, ma non è
detto che chi ha la fantasia la sappia anche usare al meglio; perché la
fantasia da sola non basta, serve anche la tecnica e, per padroneggiare quella,
bisogna sudare in qualunque settore!
Insomma, caro sconosciuto, che ci osservi con gli occhi strabuzzati e il labbro pendulo di fronte al connubio "fumetto+lavoro", anche tu, da bambino, per giocare sognavi ad
occhi aperti mondi incredibili, macchine volanti e mostri da
sconfiggere, poi però noi abbiamo continuato da allenare quel muscolo chiamato fantasia
con altri sogni e altre speranze, mentre tu hai preferito usarlo il minimo necessario,
o smettere del tutto; forse è stata una scelta, o forse un obbligo comunque non c'è nulla di male… ma non ti preoccupare, se vuoi, basta una buona
riabilitazione per fargli riprendere mobilità, seppur di poco; un buon primo
passo, appena hai un po’ di tempo libero, potrebbe essere quello di spegnere il
televisore, e aprire un buon libro o un buon fumetto.
sabato 28 gennaio 2012
Nathan Never Journey Slideshow Slideshow
Fatevi un giringiro con il "mio" Nathan, clikkando qui:
http://tripwow.tripadvisor.com/tripwow/ta-0407-ec34-2df6?ln
Appena capirò meglio come funziona, proverò ad inserire il video direttamente qui... ma non garantisco!
Appena capirò meglio come funziona, proverò ad inserire il video direttamente qui... ma non garantisco!
mercoledì 25 gennaio 2012
Faccio la ruota
Non che sia bella perché è al sottoscritto, ma perché il giornalista Marco Santoro ha fatto un ottimo lavoro!
Si è parlato di Nathan Never, Zagor, Martin Mystére, Anno Domini, Star & McCoy, ma anche di monetine con le braccine, fare il cuoco, house organ, fughe romantiche di editori cornuti, cervelli con partizioni lavorative, e chi più ne ha più ne metta...
Non ho parlato di Krav Maga, del cibo e della birra, degli Iron Maiden e dei Lego... ma magari di quelli parlerò a qualcun altro la prossima volta.
Comunque trovate tutto clickando qui.
martedì 24 gennaio 2012
I pity the fool!
Ho pietà per gli sciocchi, diceva Mr T… e
detto da uno che andava in giro con quella pettinatura e quell’abbigliamento
sobrio, non poteva non strappare un sorriso ma, diciamocelo seriamente, avreste
avuto il coraggio di contraddirlo, faccia a faccia?
In ogni caso, ultimamente ne condivido la filosofia perché,
come spesso succede nel web, appena scrivi una cosa e questa viene travisata,
non c’è modo di riportarla alla versione originaria.
Perciò ci provo qui con un post, in modo da poterci linkare
chiunque risollevi di nuovo la questione.
Parlo nello specifico del numero 250 di Nathan Never, che
inizia a germinare proprio a pagina 96 nel numero 248, in edicola in questi
giorni.
Allora, il 250 di NN, è stato scritto a quattro zampe dal
sottoscritto e dal Grande Capo Antonio Serra, e pennellato dal compare lucido
craniato Sergio Giardo, uscirà tra un paio di mesate, e sarà uno starting point
per la serie.
Attenzione, ho detto starting point, non reboot, per la
santa vergine di Czestochowa!
Chiunque abbia detto “beh, che differenza c’è?” è pregato di
infilarsi una maglietta con su scritto “picchiami” e andare a suonare alle tre
di notte il campanello a casa di Chuck Norris…
Per gli altri il discorso dovrebbe essere chiaro.
Comunque, per i primi…
Il reboot è un riavvio, una ripartenza, un cancellare tutto
quello che c’è stato in precedenza nella serie, ripartendo da capo. È quello
che fa la Marvel quando pubblica un nuovo numero 1 in cui narra nuovamente le
origini dell’Uomo Ragno (excusez-moi, oggi si dice Spiderman!), proprio come
avverrà al cinema con il nuovo Amazing Spider-man, dove il film diretto da Marc
Webb, con Andrew Garfield, racconterà nuovamente quello che già si era visto
nel primo film di Sam Raimi con Tobey Maguire.
Semplice, no?
Mica tanto, perché per lo spettatore e per il lettore medio,
ciò che è stato visto una volta è un fatto incontrovertibile!
Un celebre aneddoto lo cita lo sceneggiatore Peter David
che (riporto a memoria) durante un viaggio in aereo, chiacchierando con la
passeggera sedutagli a fianco, le disse di essere uno sceneggiatore di fumetti;
nello specifico, in quel momento, stava scrivendo le storie dell’Incredibile
Hulk. La donna rimase perplessa: era impossibile, perché lei aveva visto Hulk
morire! Ovviamente si riferiva al film per la TV che chiudeva la serie
L’Incredibile Hulk con Lou Ferrigno, in cui il mostro verde, cade da un
elicottero in volo e muore (risate fuori campo…).
Per la donna, era inconcepibile che uno stesso personaggio,
per di più visto “in carne ed ossa” in tivvù, potesse avere altre incarnazioni.
Era morto e basta!
Per questo stesso processo mentale, lettori e spettatori si ritengono
traditi quando si sentono dire dagli autori: “Ehi, tutto quello che hai letto o
visto in questi ultimi anni lo spazziamo via… non è mai accaduto… insomma,
stavamo scherzando!”
No, non stavi scherzando prima, mi stai prendendo per il
culo adesso!
Alzino la mano i giovincelli che ricordano la serie
televisiva Dallas, circa 350 episodi in 13 anni, distribuito in tutto il mondo,
con centinaia di milioni di spettatori! Ebbene, uno dei protagonisti, Patrick
Duffy, dopo diversi anni di permanenza nella serie, si stancò del personaggio e
volle provare altre strade; gli autori non trovarono di meglio che uccidere il
personaggio. Duffy però non ebbe fortuna e chiese di rientrare. Beh, una
cinquantina di puntate dopo la sua morte: sua moglie si sveglia nel proprio
lettone e se lo trova di fianco addormentato, lo abbraccia, lo bacia, ed
esordisce con un candido: “Sapessi che paura amore… ho sognato che eri morto!”.
Crollo di ascolti… ma tanto abbiamo centinaia di milioni di
spettatori, chi se ne frega!
Ma allora che vantaggio c’è nel fare un reboot?
Il vantaggio c’è quando il pubblico ti segue da tanti, tanti,
tanti anni, e intanto è cresciuto, ha cambiato i gusti, e magari le storie dei
tuoi personaggi, per il lettore di vecchia data, perdono smalto perché
continuano ad avere un target di età più bassa rispetto alla sua.
Ma se il tuo bacino di utenza, grazie a gadget, vestiti, videogiochi,
cartoni animati ecc… deve essere ancora quello dei più giovani, allora è a loro
che ti devi rivolgere. Ma non si può appassionare il nuovo lettore con una cosa
subito troppo complicata, pretendendo che, per capirla, si vada a trovare
centinaia di albi passati, spendendoci soldi, leggendo un mucchio di roba per
lui vecchia e sorpassata… allora è l’editore che deve andare incontro al nuovo
lettore, anche a rischio di perdere quello vecchio, e magari ripescando quello
che si era perso un po’ di anni fa, perché non ci capiva più nulla tra
spin-off, fill-in, what-if, gang-bang e tricche-tracche.
Tornando a bomba, di nuovo: Nathan Never 250 non sarà un
reboot!
Non sarà un reboot!
Non sarà un reboot!
Forza, ripetetelo come un mantra!
Cioè?
Cioè un nuovo punto di partenza, un albo ideale per nuovi
lettori, che ritroveranno dentro Nathan Never, l’Agenzia Alfa ecc… ma non
avranno mai l’impressione di “essersi persi qualcosa”. Tutto ciò che è successo
fino ad oggi è davvero successo e resta! Ned Mace ha ucciso Laura Lorring e
rapito Ann Never, Andy Avilland ha ucciso Adija, Luke e le gemelle Ross sono
morti durante la Guerra con le stazioni orbitanti, la guerra con Marte è appena
finita ecc… ma le nuove storie verranno raccontate come se questi eventi non
siano mai stati raccontati! Sono accaduti ma non sono stati ancora raccontati! Perciò, dove e se sarà necessario, si racconteranno
con un nuovo punto di vista, con una nuova prospettiva, i pezzi degli eventi
passati necessari a far sì che tutti capiscano tutto.
Per tornare ad un parallelismo cinematografico, quando sarà
necessario faremo la stessa operazione che hanno utilizzato Zemeckis e
Spielberg nella trilogia di Ritorno al Futuro.
Quando Martin torna per la seconda volta negli anni Cinquanta,
noi vediamo nuovamente degli spezzoni del primo film, ma da angolazioni diverse.
Ecco perché non è un reboot.
Ecco perché, speriamo, il numero 250 e quelli immediatamente
successivi, identificati nell’insieme con il nome cospirativo di NiNo (Nuovo
Inizio NeverianO) possano essere identificati come l’inizio di una nuova era per
la serie, appassionando nella lettura vecchi e nuovi lettori, proprio come ci
siamo appassionati noi nel realizzarli!
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